QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLA QUESTIONE PALESTINESE

In questi giorni abbiamo assistito a quella che i media chiamano “un’escalation di violenza” tra Israele e i territori della striscia di Gaza, ma quello che è avvenuto realmente non è che l’acuirsi di una situazione quotidiana di violenza e oppressione contro il popolo palestinese; infatti ogni giorno nei territori palestinesi avvengono azioni militari in cui vengono uccisi esseri umani e distrutti edifici che spesso risultano essere case, scuole e ospedali. La tregua stipulata ormai da qualche giorno, e già ripetutamente violata dai militari israeliani, non ha fatto altro che riportare a questa situazione.

Ma cosa sta realmente succedendo? 
Lo Stato israeliano quotidianamente opera una politica di oppressione e apartheid contro un popolo, quello palestinese, che per difendersi non ha altra via che praticare una costante resistenza, necessaria per poter semplicemente sopravvivere. Perchè,  quando per spostarsi da un luogo bisogna attendere ore a check point in cui uomini, donne e bambini vengono maltrattati e umiliati da militari armati, quando per poter mangiare bisogna coltivare campi sotto il tiro dei fucili e l’unico modo per poter tornare a casa è la speranza che i cecchini dell’esercito israeliano non sparino sugli attivisti internazionali che, come Vittorio Arrigoni, si pongono come scudi umani davanti ai contadini, quando si vive in una condizione di blocco totale in cui medicinali, generi di prima necessità sono introvabili, in cui manca tutto: lavoro, acqua, elettricità… Quando le condizioni di vita sono queste (e questi sono solo alcuni esempi) e di fronte hai uno stato che applica una vera e propria pulizia etnica, la sopravvivenza è legata indissolubilmente alla resistenza che fondamentalmente non è altro che una legittima difesa.
Spesso sentiamo dire che Israele ha diritto a difendersi, ma se accettassimo questo ragionamento bisogna ben sapere che la difesa di cui parliamo è quella dell’occupante rispetto al popolo che opprime, che detto in altri termini non è che la celebrazione dell’ imperialismo; attaccare con armi spesso vietate (come il fosforo bianco) e con forze armate la popolazione civile nelle città e nei campi profughi solo perchè ci potrebbero essere dei “terroristi” non è difesa ma assassinio. Ma nonostante tutto ciò, nonostante Israele stermini da anni un intero popolo, nonostante metta a repentaglio la sicurezza e la libertà dei popoli e degli Stati vicini, nonostante reprima ogni minima forma di dissenso e pratichi arresti illegali e tortura viene spesso indicato come modello di democrazia e libertà da quegli Stati che appoggiano le sue politiche.
Tra questi non possiamo non ricordare gli U.S.A. del presidente Barack Obama, da molti indicato come un presidente di pace, ma che oltre a supportare Israele nel suo costante massacro del popolo palestinese e aver bombardato la Libia, sta preparando la guerra a Siria e Iran. Gli Stati Uniti, paladini in ogni guerra imperialista, sono da sempre alleati e finanziatori d’Israele ma non sono l’unico Paese ad appoggiare lo Stato sionista, l’Unione Europea da anni collabora e stringe accordi su varie materie, tra cui accordi commerciali che coinvolgono aziende che producono nei territori occupati.
 In tutto questo l’Italia non è da meno; mentre in passato la politica italiana poteva essere definita neutrale rispetto al conflitto se non addirittura filo palestinese, da anni, ormai, le cose sono cambiate. Adesso in Italia si appoggia Israele, in maniera bipartisan, senza se e senza ma. Molti sono i personaggi come Vendola e Saviano o media come Repubblica o il Tg3 che si rivolgono ad un  pubblico di sinistra hanno appoggiato Israele. Ormai non si contano più gli accordi politici, economici e militari tra Italia e Israele; esempi di tali accordi si possono vedere anche a Pisa dove l’università ha sostituito il programma, gratuito, di catalogazione della biblioteca con un altro molto simile ma a pagamento e di fabbricazione israeliana.
Tutto ciò rende Israele libero di perpetuare le sue politiche coloniali nei territori palestinesi forti dell’appoggio internazionale, appoggio che oramai arriva anche numerosi Stati arabi hanno cessato di supportare la lotta palestinese e cominciando a cercare accordi con lo stato israeliano.
 Ma la lotta dei palestinesi non è semplicemente la lotta di un popolo per la propria libertà, bensì è la lotta di tutti i popoli oppressi. Essa si deve unire alle lotte di tutti quei popoli (come il popolo kurdo, il popolo basco, il popolo sarhawi, ecc.) che vengono schiacciati in condizioni di subalternità. Inoltre la lotta di tutti questi popoli per la propria libertà non deve essere vista come un qualcosa che non ci riguarda, al quale dare, al massimo, la nostra solidarietà; perchè questa lotta non deve essere semplicemente la lotta per instaurare uno Stato che poi trasporterà al proprio interno le stesse condizioni di oppressione, con l’unica differenza che invece di un popolo su un altro sarà di una classe su un’altra.
La lotta del popolo palestinese deve unire tutte le lotte di tutti gli oppressi per abbattere le condizioni di sfruttamento tra popoli e tra classi e deve essere volta  alla creazione di una società di liberi e uguali.

COLLETTIVO AULA R

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