RIFLESSIONI SULLA SITUAZIONE ECONOMICA DI UNO STUDENTE DI SCIENZE POLITICHE

Ci risiamo,  l’ennesimo crollo delle borse dopo il venerdì e il lunedì nero in Italia. Come anche in Europa, ci hanno fatto ripiombare con un solo colpo nella situazione economica del 2009, cioè in piena crisi. Si è bruciato quel poco di crescita raggiunto con molti sacrifici negli ultimi due anni, (meno per noi) quanto più per i paesi che ogni giorno si trovano sull’orlo della catastrofe con tagli indiscriminati al welfare come unico rimedio (apparente) per poter salvarsi; esempi possono essere la Grecia, il Portogallo e la Spagna.

In Italia con la manovra economica di tagli degli ultimi giorni, porterà nel 2014 le famiglie ad un indebitamento elevatissimo. Gli ultimi dati ISTAT indicano 8 milioni di persone sotto la soglia di povertà nel 2010. La crisi non tocca solo questi paesi, ma anche quelli cosiddetti “benestanti”, come la Germania che ha subito tagli, basti pensare alle due tranche di aiuti, la prima da 700 mld nel 2008 e la seconda da 500 mld decisi a fine giugno di quest’anno da parte dell’unione europea che restano a carico prevalentemente dei contribuenti, certamente non dei governanti o di chi gioca sui mercati causando questi risvolti.

Obama in questi giorni tenta di trovare il consenso dei repubblicani sulla maxi manovra da 2000 miliardi di tagli per evitare il sicuro default statunitense, con l’esplicito rischio di apocalisse mondiale espresso dallo stesso per buttare benzina sul fuoco della paura popolare, a causa del loro maxi debito di 14.000 miliardi di dollari, esponendo i mercati e l’economia globale ad un elevato rischio.

Certamente si eviterà questo default e sicuramente non assisteremo nell’immediato ad un crollo dei mercati europei, ma chi paga oggi queste conseguenze è evidente: non le banche, non gli speculatori, non i fautori di un’economia senza freni e regole “dal carattere intrinseco dell’ideologia capitalista”, ma il popolo.

Dal 2008 ad oggi i grandi del mondo hanno a più riprese propagandato la necessità di una regolamentazione drastica dell’economia globale, cosa mai riuscita e oltretutto mai tentata a causa sia dei grandi interessi economici che la contrastano, sia perché si distruggerebbe il nucleo essenziale del sistema ideologico che regola il mondo. L’idea è che i governanti e i vari amministratori di grossi capitali non saranno mai disposti a cambiare, ma al limite cercano di far credere che in questo sistema perverso vi sia qualcosa di buono, (stuccando di bianco muri marci sul punto di crollare) con la propaganda fittizia della regolamentazione.

Quindi le alternative sono soltanto due: o un cambiamento radicale del tipo di economia nazionale e globale, (impossibile in quanto significherebbe distruggere l’ideologia capitalista globalizzata che governa il mondo), oppure iniziare a regolamentare i mercati come proposto da molti, impossibile anche questo per via dei troppi interessi intrinsechi al liberalismo capitalista dei mercati che non intendono cedere niente, anzi mirano ad ulteriori speculazioni.

Siamo allora di fronte ad una situazione in cui il mondo e l’Europa in particolare, stanno continuando a porre pezze su falle che via via vanno allargandosi sempre a discapito dello stato sociale e quindi dei contribuenti; lo stesso stato sociale che venne elargito con immensi sacrifici di sangue e vite umane negli anni 70’ e che contribuì in maniera determinante a de radicalizzare i conflitti sociali e far entrare le fasce popolari nella classe media. Oggi quindi assistiamo ad una retromarcia graduale ma sempre più incisiva, perché i favori che un tempo il capitalismo poté concedere al popolo erano solo il frutto di un benessere economico fasullo, basato principalmente sullo sfruttamento del terzo mondo in base a una politica neocolonialista che per nulla si differenzia da quella imperialista di un tempo e che oggi si trova alla resa dei conti che pagheremo noi.

I paesi che già si trovano in una fase avanzata di crisi come Grecia e Spagna, hanno già cominciato a maturare una seria coscienza e conseguente mobilitazione di massa, dai lavoratori ai pensionati agli studenti, sia in termini di servizi pubblici, sia di diritti che via via vengono meno, come già in Italia stiamo sperimentando sulla nostra pelle, di cui i cosiddetti referendum della FIAT costituiscono l’esempio più lampante.

Il popolo nella sua totalità deve ribellarsi, non contro il taglio allo stato sociale, mera concessione magnanima fattaci dai potenti, bensì all’intero sistema economico e politico che governa questo mondo.

E’ giunto il momento di riaccendere il conflitto sociale e abbattere definitivamente il capitalismo!

 

Seba

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