L’attuale riforma universitaria ha l’obiettivo di decretare la fine di un sistema d’istruzione di massa e basato su alcuni principi pubblici.
I punti cardine che come soggetto studentesco individuiamo nel disegno di legge riguardano: i tagli al diritto allo studio, sostituendo un diritto, con un indebitamento per studenti e famiglie; il consolidamento del lavoro precario nei luoghi di produzione della conoscenza; il taglio di finanziamenti che comporterà inevitabilmente la trasformazione in fondazioni di diritto privato degli atenei.
Gli articoli di riforma della governance, che il disegno legislativo vuole imporre agli atenei, preparano la struttura del governo delle università ad un inclusione di privati nei Cda e aumenta il grado di influenza dell’organo sui programmi didattici.
La riforma è ovviamente legata all’idea di cultura esclusivamente utile agli interessi di privati e la ricerca vuol essere tagliata in tutte le forme che non siano funzionali al profitto di questi ultimi.
Queste riflessioni sono evidenti a partire dalla lettura superficiale del disegno di legge, tanto evidenti, che in quest’ultimo viene previsto uno stanziamento di fondi per gli atenei considerati meritevoli. La logica che determina il merito è basata principalmente sui flussi di capitali privati che un ateneo è capace di attrarre. Cosa c’è di più chiaro di questo?
Cos’altro devono dire o fare i governanti per chiarire che l’unico bisogno a cui sentono l’esigenza di rispondere è quello delle elites economiche e politiche?
Davanti a questo attacco che renderebbe irreversibile la fine di un sistema ancora pubblico di istruzione universitaria non possiamo rimanere in silenzio e non possiamo non opporci mettendo in pratica molteplici forme di dissenso e di protesta.
Il significato delle nostre azioni di protesta ribalta anche il significato della politica generalmente intesa come la professione di qualcuno; noi stiamo dimostrando con le occupazioni e con il lavoro nelle assemblee, unico organo decisionale della protesta, che è con la partecipazione diretta che si possono difendere i diritti, per definizione collettivi, e opporsi agli interessi, che invece riguardano sempre una parte.
La proposta di sostituire il diritto allo studio con un indebitamento precoce ricadrà inoltre sulle famiglie che, nel clima di crisi attuale, velocizzerà un processo di involuzione verso un’università per ricchi e una minor possibilità di accesso per i ceti meno abbienti . Parallelamente assistiamo anche ad un clima di arretramento culturale che determinerà minori possibilità per alcuni individui, come ad esempio le donne. La richiesta occupazionale delle donne è circa la metà rispetto a quella degli uomini. Questo, insieme ad una radicata discriminazione di genere, porterà le famiglie ad essere meno disposte a indebitarsi per le figlie. Se l’università sarà solo funzionale al mercato del lavoro non conviene indebitarsi per un individuo che ha meno probabilità di portare un domani soldi a casa.
In questi giorni ci siamo concentrati sul blocco della riforma per impedire la soluzione finale riservata da questo governo all’università pubblica.
Crediamo che un’università realmente pubblica, accessibile a tutti e a tutte e di qualità, si possa costruire solo sulla base di una partecipazione il più possibile diretta e orizzontale e che non siano né i governi di oggi né quelli di domani a trasformare positivamente l’università.
Per questo bloccare oggi la riforma è un primo passaggio per dire che i diritti si difendono solo con la lotta di tutti e tutte.