10 FEBBRAIO: GIORNO DEL REVISIONISMO STORICO NOI RICORDIAMO TUTTO!

 

10 Febbraio 2014: sono dieci anni esatti dall’istituzione del “giorno del ricordo” e noi, per questo decennale, vogliamo come abbiamo sempre fatto, ricordare. Ovviamente il nostro ricordo non può derivare dall’esperienza, ma possiamo sopperire a questa mancanza con lo studio; ma studiando quei fatti notiamo come il ricordo che ci viene propagandato dai media, dai politici (in questi casi sempre uniti) e da tutta una serie di sedicenti intellettuali non corrisponde esattamente alla realtà. Notiamo come la versione ufficiale sbandierata ai quattro venti sia raffazzonata, semplicistica e spesso totalmente inventata.

Ma come mai vi è questa larga diffusione di tali falsità storiche? Eppure ricostruire la storia contemporanea è piuttosto semplice, basta prendere dati ufficiali, testimonianze affidabili supportate da prove e si può ricostruire la realtà dei fatti. Così hanno fatto moltissimi storici che non guidati da sentimenti propagandistici, ma dalla sola volontà di riportare la verità, hanno prodotto una bibliografia molto vasta sui fatti riguardanti il confine orientale, dalla fine della prima guerra mondiale fino agli anni ’50,  in cui si concluse la questione della riassetto dei confini dopo il secondo conflitto mondiale.

 

Un processo di annullamento della memoria storica fatto con il preciso intento di rafforzare la classe dominante; annullare il passato, equiparare chi lottava per la libertà e l’uguaglianza sociale a chi stava dalla parte dell’oppressione. Perpetrare un revisionismo storico di stato su ogni periodo di lotta con il chiaro intento di allontanare le classi subalterne da ogni velleità di cambiamento rivoluzionario, di renderle subalterne da un punto di vista culturale, di riabilitare il fascismo per cooptare una parte di malcontento, ormai lobotomizzato, nelle file di chi da sempre è  il “cane da guardia della classe dominante”. Proprio quest’anno la RAI ha mandato in onda una serie di fiction sugli anni di piombo con una ricostruzione storica falsata, propagandistica e a tratti quasi grottesca.

In questo contesto la retorica nazionalista (e nel caso della questione del confine orientale pure quella irredentista) ripresa dal fascismo e successivamente dai vari gruppi neofascisti è perfetta per distogliere l’attenzione della popolazione dai veri problemi e concentrarla nell’odio contro il diverso, nella esaltazione delle italiche glorie, nella difesa dei soldati pagati per difendere e incrementare gli interessi di Stato neocoloniali (ad esempio come nel “caso marò”,  polizia privata delle navi mercantili).

 

L’inizio di questo processo di cancellazione della memoria storica si può trovare sin dall’alba della Repubblica quando, appena finita la guerra e liberata l’Italia dal giogo nazi-fascista, invece di assumerci le nostre responsabilità si tentò di annullare ogni ricordo del ventennio, cancellarlo come una lavagna, tagliare il filo della storia nel 1922 e riattaccarlo nel 1943 (data dell’armistizio e dell’inizio della resistenza). Una parte della vecchia classe dirigente, con il voto contro Mussolini, la notte del 25 Luglio 1943 e con l’8 Settembre data dell‘armistizio,  tentò di sfuggire alle proprie responsabilità cercando di ripulire la propria immagine agli occhi degli Alleati e della popolazione italiana ed in buona parte vi riuscirono. Con la fine della guerra e la spartizione dell’Europa in aree d’influenza e il conseguente inglobamento dell’Italia nell’area Nato, si formò (quasi) una nuova classe dirigente che, fin da subito cercò di dimenticare le colpe e la barbarie dello Stato fascista in nome della riconciliazione nazionale. Il nuovo Stato liberale quindi fin da subito preparò il campo per questa rimozione della memoria storica su larga scala, cominciando dall’epurazione del fascismo dalle istituzioni  e al processo per i criminali fascisti. Tali operazioni, lungi dall’essere qualcosa di simile a ciò che accadde in Francia o in Germania, furono totalmente di facciata: semplice propaganda di fronte ad una popolazione che, in buona parte, non aveva dimenticato e continuava la lotta partigiana cercando, in alcuni casi, di trasformarla in lotta rivoluzionaria. Infatti, alcuni giudici che presiedevano le commissioni per l’epurazione o le aule dei tribunali erano gravemente compromessi col vecchio regime fascista. In questi processi le condanne furono poche ed estremamente indulgenti ma non finì qui; poco tempo dopo, nel 1946, appena un anno dopo la fine della guerra, il Ministro della Giustizia Togliatti emanò un’amnistia che lasciò impuniti perfino criminali del calibro di Graziani, Roatta e Borghese (quel Iunio Valerio Borghese capo della X MAS che dopo aver perpetrato i peggiori crimini di guerra tentò nel 1970 un colpo di Stato).

Quindi all’alba della Repubblica, l’Italia si ritrovò con una nuova classe dirigente in cui convivevano esponenti della resistenza e “vecchi personaggi” compromessi col fascismo.

Vertici militari, Questori, Prefetti, Giudici e una serie di dirigenti e funzionari pubblici ripresero le loro  cariche nel nuovo Stato; come nella più italica delle tradizioni, tutto finì a “tarallucci e vino”.

 

Tutto ciò, chiaramente, segnò l’inizio del processo di rimozione storica, in cui le responsabilità del P.C.I. furono gravissime. Infatti, esso non solo si rese complice della sostanziale impunità lasciata ai membri del vecchio regime, non solo in più occasioni bloccò ogni tentativo rivoluzionario, ma si rese altrettanto complice della (ri)costruzione della memoria storica ufficiale della prima repubblica in cui erano esaltati i valori della resistenza e i partigiani che l’avevano combattuta; ma dove però, anche le forze armate vennero riabilitate dimenticando tutti gli orrori commessi, ma glorificandone  il loro sforzo sia militare che umano (facendo leva sui sentimenti umani, cosa  sbagliata se si vuole fare storia attenendosi ai fatti senza produrre fiction strappalacrime). Questo ha portato a storie quasi da fiaba che possiamo vedere anche in film come (Il mandolino del capitano Corelli o in Mediterraneo) in cui viene esaltato il mito del “bravo italiano” che si trova  in una guerra che non vuole, ma che per il glorioso senso del dovere verso la patria, combatte con onore e umanità. Tralasciando le fiabe e raccontando la storia reale, vediamo che l’Italia era in guerra per le mire espansioniste del fascismo, della borghesia e del nazionalismo; le forze armate italiane non aiutavano le popolazioni locali, ma erano truppe d’occupazione chesi macchiarono di crimini non minori a quelli  compiuti dalle truppe naziste. 

C’era anche chi fu mandato in guerra ma di quella guerra non voleva neanche sentir parlare: è noto che a partire dalla fine del ’43 molti reparti delle forze armate disertarono e si allearono alla lotta partigiana in Italia e nei Balcani.  Questo non è un buon motivo per cancellare o dimenticare le  colpe e  il ruolo delle forze armate nella guerra nazifasciste.

Con gli anni, con la progressiva perdita della memoria si è diffuso sempre più il peggiore revisionismo, mistificazioni e falsità della peggior feccia nostalgica.  Questo ha contribuito ad anni di rimozione della memoria storica, sostituita da una memoria artificiosa fabbricata ad hoc per mantenere salvo il mito “degli italiani brava gente.

 

Con la caduta della prima repubblica, questo processo ha subito un salto di qualità sia qualitativo che quantitativo.

 

La seconda repubblica si è caratterizzata fin da subito per il totale abbandono di ogni idea  di resistenza antifascista, in favore di uno spirito più neutrale verso la storia del periodo fascista, tanto che si è giunti alla riabilitazione dei repubblichini e alla loro equiparazione coi partigiani: la cosiddetta “memoria condivisa”.

Si è assistito ad una certa tolleranza e connivenza nei confronti di tutta una serie di associazioni, partiti e gruppi di chiara matrice fascista e si è assistito alla creazione di una memoria storica ufficiale nazionalista, a-fascista (con la perdita totale del valore dell’antifascismo),  anticomunista e antipartigiana.

 

Il Giorno del Ricordo si pone esattamente in questo contesto come una delle più importanti opere di revisionismo storico di propaganda nazionalista. Secondo la versione ufficiale (ripresa dalla retorica neofascista) ripetuta come un “mantra”,  il 10 Febbraio si ricordano le vittime delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata  subito dagli italiani ad opera della ferocia dei partigiani titini. In particolare ci raccontano che i partigiani  in preda ad un irrazionale odio verso gli italiani e per intraprendere il sogno espansionistico jugoslavo, uccisero gli italiani e quelli che non morirono furono obbligati ad emigrare.

Le cifre  su questa “tragedia” a volte superano persino il ridicolo con personaggi che parlano di centinaia di migliaia e a volte persino milioni di persone coinvolte. La realtà però è  ben diversa.

 

I territori menzionati, ovvero l’Istria e la Dalmazia, sono sempre stati un insieme di etnie diverse, in cui quella slava era numericamente preponderante nei confronti di quella italiana. Finita la “Grande Guerra” con le successive annessioni territoriali a seguito dei trattati di pace, tutta la regione passò sotto il governo italiano,  poi con il fascismo si annessero altri territori.

 

 Il governo italiano in queste terre applicò una vera e propria pulizia etnica: italianizzazione forzata,  divieto di parlare la lingua slava, repressione di tutta lacultura slava. Mussolini stesso in un discorso a Pola (l’attuale Pula) fece capire che l’occupazione italiana di quelle terre non sarebbe stata esattamente conciliante per le altre etnie: “di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica dello zuccherino, ma quella del bastone.[…]I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani. [discorso tenuto a Pola, 24 settembre 1920] “.

 

Durante tutto il periodo dell’occupazione, fino alla fine della seconda guerra mondiale, le forze armate italiane si resero protagoniste di una delle più feroci repressioni, contro la resistenza e la popolazione slava.  Furono costruiti campi di concentramentoin cui furono internate centinaia di migliaia di persone e con decine di migliaia di morti. Vi furono anche rappresaglie contro la popolazione con stragi,  perpetrando ogni genere di crimine.

 

Con la sconfitta dell’Italia in guerra e l’avanzamento delle truppe alleate, quei territori finirono sotto il controllo delle forze titine (al loro interno vi erano  numerosi italiani) e come ogni  esercito durante la guerra, arrestò e processò i presunti responsabili delle atrocità nazifasciste. Vi furono condanne a morte e i corpi, poi, gettati nelle foibe (usate in precedenza come fosse comuni anchedalle forze dell’Asse). 

Le vittime ritrovate nelle foibe,  secondo i dati ufficiali ( italiani) sono state qualche centinaio, prevalentemente fascisti, collaborazionisti e spie varie, podestà, ufficiali delle forze armate e delle forze dell’ordine(non certo civili); individui gravemente compromessi col regime fascista  responsabili e complici dei crimini commessi.

 

Per quanto riguarda l’esodo giuliano-dalmata si tratta di una costruzione artificiosa ancora più evidente. Dopo la guerra, con i trattati di pace, all’Italia furono tolte le colonie e i territori balcanici  e furono  inglobate nella jugoslavia (Trieste fu inizialmente città neutrale e poi dal ’56 annessa all’Italia). Gli stessi trattati di pace definirono inoltre che la popolazione italiana residente aveva il diritto di scegliere, senza alcun obbligo se mantenere la nazionalità italiana emigrando in Italia o se rimanere prendendo quella jugoslava. Il tutto in un arco di tempo che durò circa dieci anni.

Le cifre “sparate” dalla propaganda ufficiale sono a dir poco fantasiose: secondo il conteggio ufficiale, le persone coinvolte sono circa 190000, la propaganda ufficiale, così solerte nel voler ricordare, dimentica sempre le migliaia di italiani che decisero di rimanere.

Al contrario del governo fascista, quello jugoslavo concesse diritti che attualmente, molte minoranze che risiedono in Italia non hanno. Nelle regioni interessate fu riconosciuto il bilinguismo, l’insegnamento della lingua e della cultura italiana nelle scuole, l’istituzione e la sovvenzione con fondi pubblici dell’editoria italiana, dei circoli culturali, ecc.

 

Tutto questo rappresenta la realtà storica e non ha i connotati di una pulizia etnica o di persecuzione su base nazionalista oppure di tutte le fandonie che ci vengono propinate. 

 

Oggi 10 Febbraio (e sempre) ricordiamo le atrocità del fascismo, ricordiamo tutti i crimini commesse dalle truppe italiane in tutte le guerre d’occupazione, i campi di concentramento, l’utilizzo dei gas sulla popolazione, ricordiamo cosa ha rappresentato il fascismo.

Ricordiamo anche  tutte quelle persone che hanno portato avanti una resistenza contro tutto questo.

Ricordiamo anche quello che disse nel 1942 il partigiano Stjepan Filipovic prima di essere impiccato dai fascisti: “SMRT FASZISMU, SLOBODA NARODU” che tradotto sarebbe “MORTE AL FASCISMO, LIBERTA’ AI POPOLI”.

COLLETTIVO AULA R

 

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