LAMPEDUSA LABORATORIO DI VIOLENZA…DELLO STATO

Il “laboratorio lampedusa” sta generando i suoi prodotti. Gli immigrati che ormai da tempo sono reclusi nel CPA (centro di prima accoglienza) hanno deciso di rivoltarsi contro le condizioni di vita disumane a cui sono sottoposti. Quando la loro esasperazione si è trasformata in rabbia sono insorti dando fuoco al lager. Inutile dire quanto sia stata immediata la reazione delle istituzioni e delle loro truppe a questa situazione.

Gli immigrati sottoposti a questa “detenzione amministrativa” sono costretti, per mesi, a vivere in un ambiente sovraffollato (vi sono più di 1500 persone in una struttura che ne può contenere 600) privati anche dei minimi diritti umani e alla mercè della violenza poliziesca.

Quello che sta succedendo a Lampedusa non è un caso, ma la realizzazione di un progetto ben calcolato messo a punto dallo Stato.

Il governo ha voluto creare una situazione esplosiva nell’isola di Lampedusa, un laboratorio a cielo aperto di violenza, razzismo e repressione al fine di alimentare la campagna xenofoba e migliorare la macchina repressiva statale in vista di un autunno che si prevede bollente.

La rivolta degli immigrati si va a collocare in un periodo particolarmente delicato, in cui l’Italia e l’Europa intera attraversano una crisi “sistemica” senza precedenti, che ha generato movimenti di contestazione via via sempre più partecipati. Da sempre, quando sentono vacillare i loro troni, i potenti cercano di rinserrare le fila creando nemici interni ed esterni. Il martellamento mediatico (al soldo dei governi) e la propaganda xenofoba dipingono i flussi migratori di chi fugge da guerre e carestie come nuove invasioni barbariche, volte a distruggere la cultura europea e a immiserire i lavoratori. Ciò rappresenta un esempio da manuale di creazione di un nemico per distrarre i cittadini dai reali problemi che governi e banche da anni hanno causato.

La nostra solidarietà va a chiunque si ribella per spezzare le catene dell’oppressione capitalista.

COLLETTIVO AULA R

mail: aular@autistici.org

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Volantini distribuiti oggi dal Collettivo Aula R

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RIFLESSIONI SULLA SITUAZIONE ECONOMICA DI UNO STUDENTE DI SCIENZE POLITICHE

Ci risiamo,  l’ennesimo crollo delle borse dopo il venerdì e il lunedì nero in Italia. Come anche in Europa, ci hanno fatto ripiombare con un solo colpo nella situazione economica del 2009, cioè in piena crisi. Si è bruciato quel poco di crescita raggiunto con molti sacrifici negli ultimi due anni, (meno per noi) quanto più per i paesi che ogni giorno si trovano sull’orlo della catastrofe con tagli indiscriminati al welfare come unico rimedio (apparente) per poter salvarsi; esempi possono essere la Grecia, il Portogallo e la Spagna.

In Italia con la manovra economica di tagli degli ultimi giorni, porterà nel 2014 le famiglie ad un indebitamento elevatissimo. Gli ultimi dati ISTAT indicano 8 milioni di persone sotto la soglia di povertà nel 2010. La crisi non tocca solo questi paesi, ma anche quelli cosiddetti “benestanti”, come la Germania che ha subito tagli, basti pensare alle due tranche di aiuti, la prima da 700 mld nel 2008 e la seconda da 500 mld decisi a fine giugno di quest’anno da parte dell’unione europea che restano a carico prevalentemente dei contribuenti, certamente non dei governanti o di chi gioca sui mercati causando questi risvolti.

Obama in questi giorni tenta di trovare il consenso dei repubblicani sulla maxi manovra da 2000 miliardi di tagli per evitare il sicuro default statunitense, con l’esplicito rischio di apocalisse mondiale espresso dallo stesso per buttare benzina sul fuoco della paura popolare, a causa del loro maxi debito di 14.000 miliardi di dollari, esponendo i mercati e l’economia globale ad un elevato rischio.

Certamente si eviterà questo default e sicuramente non assisteremo nell’immediato ad un crollo dei mercati europei, ma chi paga oggi queste conseguenze è evidente: non le banche, non gli speculatori, non i fautori di un’economia senza freni e regole “dal carattere intrinseco dell’ideologia capitalista”, ma il popolo.

Dal 2008 ad oggi i grandi del mondo hanno a più riprese propagandato la necessità di una regolamentazione drastica dell’economia globale, cosa mai riuscita e oltretutto mai tentata a causa sia dei grandi interessi economici che la contrastano, sia perché si distruggerebbe il nucleo essenziale del sistema ideologico che regola il mondo. L’idea è che i governanti e i vari amministratori di grossi capitali non saranno mai disposti a cambiare, ma al limite cercano di far credere che in questo sistema perverso vi sia qualcosa di buono, (stuccando di bianco muri marci sul punto di crollare) con la propaganda fittizia della regolamentazione.

Quindi le alternative sono soltanto due: o un cambiamento radicale del tipo di economia nazionale e globale, (impossibile in quanto significherebbe distruggere l’ideologia capitalista globalizzata che governa il mondo), oppure iniziare a regolamentare i mercati come proposto da molti, impossibile anche questo per via dei troppi interessi intrinsechi al liberalismo capitalista dei mercati che non intendono cedere niente, anzi mirano ad ulteriori speculazioni.

Siamo allora di fronte ad una situazione in cui il mondo e l’Europa in particolare, stanno continuando a porre pezze su falle che via via vanno allargandosi sempre a discapito dello stato sociale e quindi dei contribuenti; lo stesso stato sociale che venne elargito con immensi sacrifici di sangue e vite umane negli anni 70’ e che contribuì in maniera determinante a de radicalizzare i conflitti sociali e far entrare le fasce popolari nella classe media. Oggi quindi assistiamo ad una retromarcia graduale ma sempre più incisiva, perché i favori che un tempo il capitalismo poté concedere al popolo erano solo il frutto di un benessere economico fasullo, basato principalmente sullo sfruttamento del terzo mondo in base a una politica neocolonialista che per nulla si differenzia da quella imperialista di un tempo e che oggi si trova alla resa dei conti che pagheremo noi.

I paesi che già si trovano in una fase avanzata di crisi come Grecia e Spagna, hanno già cominciato a maturare una seria coscienza e conseguente mobilitazione di massa, dai lavoratori ai pensionati agli studenti, sia in termini di servizi pubblici, sia di diritti che via via vengono meno, come già in Italia stiamo sperimentando sulla nostra pelle, di cui i cosiddetti referendum della FIAT costituiscono l’esempio più lampante.

Il popolo nella sua totalità deve ribellarsi, non contro il taglio allo stato sociale, mera concessione magnanima fattaci dai potenti, bensì all’intero sistema economico e politico che governa questo mondo.

E’ giunto il momento di riaccendere il conflitto sociale e abbattere definitivamente il capitalismo!

 

Seba

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BASTA PASSEGGIATE!

In seguito alle lotte di questo autunno, il sindacato confederato CGIL ha convocato uno “sciopero generale” piuttosto particolare.

Invece di favorire l’unione delle lotte e delle vertenze, facilitando la rinascita di una coscienza tra i lavoratori, i burocrati del sindacato hanno ancora una volta deciso per uno sciopero farsa, delocalizzato in ogni provincia e di sole quattro ore.

La pressione della base e degli studenti ha costretto il più grande sindacato italiano a indire una giornata che più che di lotta ha il sapore del contentino e della mera testimonianza.

Nel frattempo le RSU della FIAT di Torino (solo FIOM) si piegano al ricatto di Marchionne e lo Stato continua, tramite arresti nel movimento universitario (Firenze) e tagli a servizi e diritti, a reprimere e impoverire le classi subalterne.

Da trent’anni a questa parte il ruolo dei sindacati confederati è ben preciso: svendere il lavoratore, assecondare le logiche padronali (partecipando al tavolo della produttività di Confindustria), perpetuare, in nome del profitto, la linea di concertazione.

È chiaro come queste strutture non siano in grado di rappresentare la nuova composizione della classe lavoratrice: sempre più, infatti, sono i giovani che, nonostante siano in possesso di diplomi o lauree, vivono di lavoro saltuario, a contratti precari e senza alcuna prospettiva.

È poi evidente che oggi lo sfruttamento non inizia più con la sottoscrizione del contratto di lavoro. La riforma Gelmini ad esempio, garantisce l’entrata dei privati nei Cda degli atenei e così la formazione e gli studi si allineano con gli interessi del capitalista di turno. L’insegnamento di qualità sarà sempre di più quello produttivo per chi lo commissiona. Oltre ciò la flessibilità lavorativa è ormai lo strumento principale per sottomettere la vita del lavoratore alle necessità dell’azienda e del padrone.

Ciò che unisce la lotta degli universitari con quella dei lavoratori non deve essere la difesa dei diritti inalienabili come lo studio e il lavoro (spesso chiamati beni comuni). Il nostro nemico comune rimane questo sistema produttivo che ci costringe a competere l’uno contro l’altro per assicurarci un salario.

Riteniamo che uno sciopero generale serva a ricomporre i lavoratori e a scatenare tutta la forza e la potenzialità di una vera giornata di lotta mediante occupazione delle fabbriche, blocco delle merci e delle vie di comunicazione.

AL TERREMOTO INDUSTRIALE RISPONDIAMO COL TERREMOTO SOCIALE!

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LE LOTTE NON SI PROCESSANO, SOLIDARIETÀ A CHI VIENE COLPITO DALLA REPRESSIONE!

Il Collettivo e i/le ragazzi/e dell’Aula R esprimono solidarietà ai compagni e alle compagne colpiti/e dalla repressione poliziesca a Firenze.

Alle prime avvisaglie di malcontento generale, quando la lotta aumenta e si radicalizza, gli apparati difensivi dello stato, sia che si nascondano dietro una divisa o una croce celtica, colpiscono chi da sempre si oppone a quelle logiche di asservimento e obbedienza che ci vogliono zitt* e allineat*.

Quando l’accusa di terrorismo non è più funzionale alla macchina repressiva, il potere giuridico, non sapendo più a che dicitura appigliarsi, estrae dal cilindro il reato di associazione a delinquere (vedi compagn* arrestat* a Bologna).

CHI CI VUOLE IMPAURIT* E ISOLAT* CI TROVERÀ COMBATTIVI E SOLIDALI!

 

Collettivo AulaR
Compagn* AulaR

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